ASSOCIAZIONE CULTURALE

Statèra

Fondamenti di Statèra, da cosa nasce e perché c'è estremo bisogno di lei.

2024-10-28 19:30

EBNIN CALICIS

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Fondamenti di Statèra, da cosa nasce e perché c'è estremo bisogno di lei.

Nessuno è proprietario dei soldi, né tanto meno del lavoro.Il lavoro non è cosa "nostra", ma cosa di tutti. E dobbiamo riprendercelo!

Se dovessi scegliere un nome da attribuire all' epoca storica che stiamo vivendo, opterei di sicuro per “paradosso”. Ritengo sia il sostantivo più pertinente per descrivere meglio la nostra era: paradossale. 

Il fatto, ad esempio, che si consideri la guerra il più efficace strumento per esportare democrazia , è paradossale. 

Che gli scienziati, per vocazione inclini da sempre alla discrezionalità e al dubbio, oggi parlino invece di certezze assolute e di obbligatorietà, è un altro grande paradosso. 

Siamo circondati dai paradossi, ne siamo obnubilati, tant'è che anche fenomeni umani ancestrali, come la semplice lotta di classe, oggi assumono aspetti del tutto nuovi e divengono, paradossalmente, complotti.

Tra tutti i paradossi che atrofizzano e dirottano i nostri pensieri, i nostri atteggiamenti e il nostro stesso stile di vita, ce n'è uno che più degli altri è stato capace di catturare la mia attenzione: “C'è poco lavoro perché mancano le risorse!” 

Se definissimo il paradosso come un tranello elaborato ad arte da qualcuno, al solo scopo di perseguire biechi fini individuali, caspita! a quello appena citato non potremmo non conferire il primo premio.

 

Devo ammetterlo, forse perché è il più longevo e radicato, nonché certamente il più sofisticato e machiavellico paradosso di tutti, ma riuscire a decodificarlo è stato tutt'altro che semplice.

Per spiegare questo interminabile ed alienante periodo di crisi e austerità, la scusa unanime, costante e monocolore che ci è giunta negli anni da Palazzo Chigi è stata: “Vorremmo creare lavoro, vorremmo fornire servizi, ma purtroppo non possiamo perché mancano i fondi e non è colpa nostra.” Bah!

Confesso che inizialmente mi sia completamente fidato. 

Perché non avrei dovuto dare credito alle promesse dei nostri ufficiali ed integerrimi rappresentanti, eletti da noi, nostri amici. E perché non credere ai giornalisti? Così imparziali e preparati? 

Però questo strano paradigma continuava a stonarmi e mi domandavo: “Ma com'è possibile che manchino i soldi? Chi se li è presi? Ma esiste un' unica tribù di questi benedetti soldi o ce ne sono almeno una dozzina? Si staranno mica nascondendo in qualche anfratto della terra? E perché mai? Fuggono dai bombardamenti o si sono consegnati al padrone più forte per sentirsi più al sicuro?”

 

Insomma, ho scatenato anch'io il mio personalissimo conflitto ed ho dichiarato guerra ai soldi, maledetti!

La prima regola da attuare in qualsiasi strategia di guerra è: conoscere a fondo il nemico. E così mi sono buttato a capofitto sui libri, con l'obiettivo di saperne il più possibile. 

Ho letto libri di economia di qualsiasi ordine e grado, saggi, ma anche semplici tesi di laurea, come ad esempio quella presentata dall' allora illustre studente Mario Draghi, commissionatagli dal commendevole Prof. Federico Caffè.

Ho trascorso ore infinite ad ascoltare probi economisti dibattere sulle più svariate dottrine, da quella keynesiana a quella vonhayekiana.

Non nascondo che la lotta interiore che ho vissuto sia stata devastante ed estenuante, ma posso comunicare ufficialmente che alla fine ho vinto! Sono riuscito a scoprire cosa non mi convincesse per niente ed a stanare l'enorme paradosso.

Nella rappresentazione romantica degli esperti, il denaro è un organismo del tutto autentico, in carne ed ossa, audace ed irreprensibile, al punto da condizionare irrimediabilmente le nostre vite e obbligarci a marciare tutti quanti nella stessa direzione. Ma questa è una “volgare mistificazione”, come direbbe  il mio simpatico corregionale Dott. Totò Cuffaro, magari mentre sogna di essere un drink tra le mani di qualche nuovo Santo.

 

I soldi non rappresentano nessuna ipostasi, ma sono, semmai, un volgare strumento di misura, niente di più e niente di meno. 

Sono, banalmente, un' unità convenzionale utile alla misurazione, come lo sono a pieno titolo il metro, il chilogrammo o i gradi celsius. 

Sono stati instituiti dagli uomini in illo tempore per semplificarsi la vita, non per complicarsela ulteriormente. 

E cosa misurerebbe questo strumento? Guarda caso, proprio il lavoro. Ecco dunque svelato il paradosso: non sono i soldi a creare il lavoro, ma il lavoro a creare i soldi!

“Bella scoperta!” considereranno in molti. "Davvero?" chiedo io. 

Essendo un' ovvietà, dunque, perché crediamo a questa frottola da tempo immemore? Ammettiamolo, provando una buona volta ad essere onesti intellettualmente con noi stessi, ci abbiamo creduto perché tutti quanti siamo terribilmente affascinati da questo virtuale organismo estremamente erotico. 

 

Quei pochissimi del mondo che dei soldi pare ne siano i proprietari per concessione divina, non fanno altro, da anni, che sventolarceli sotto il naso, inebriandoci; e tutti quanti noi, con la bava alla bocca, sogniamo che arrivi anche il nostro turno per portarceli a letto. 

Ma aveva ragione Tancredi, gli anni passano e tutto resta uguale a prima e i soldi, continuano a rimanere prerogativa di una cerchia ristrettissima di eletti. A noi, sempre e solo le briciole! 

Questi marrani! Preferiscono darli perfino ai terroristi coi quali poi, quando ne hanno voglia, si divertono a giocare alla guerra, piuttosto che concedercene un po' a noi che ce li meriteremmo per davvero: questo è estremamente scorretto!

Ma noi per fortuna siamo ormai fuori da questa impasse, abbiamo riconosciuto l'inganno, ci siamo rivestiti ed abbiamo finalmente ben chiaro cosa siano i soldi e a cosa servano. 

Ripetiamolo in coro, però, come se stessimo partecipando ad un' intensa seduta di terapia psichiatrica: “I soldi non esistono! Sono solo un'unità di misura e servono per misurare il valore del lavoro! Non sono i soldi a creare il lavoro, ma il lavoro a creare i soldi!” Oh, adesso ci siamo, siamo finalmente liberi dal paradosso.

 

“Mica tanto,” starà certamente obiettando qualcuno, “girala come vuoi, ma resta sempre il fatto che lavoro non ce n'è!”

Se state pensando a questo, è solo perché ve ne state ancora immobili, con le braghe calate, in attesa del frutto proibito promesso. 

Vi svelo un segreto: non esiste neppure il lavoro. So bene quanto possa rappresentare una mazzata tra capo e collo, ma purtroppo è così. Anche il lavoro è ben lontano dall' essere un corpo voluttuoso che prima o poi qualcuno ci concederà.

Il lavoro è la nostra immagine, è dentro di noi, siamo noi stessi. È la più sincera e trasparente espressione di ogni individuo sulla terra. 

Il lavoro non è un lontano parente agiato che potrebbe ospitarci, non è un amico influente e scaltro che ci può favorire. 

Il lavoro non è cosa “nostra”, ma cosa di tutti quanti! 

Sarebbe assurdo, dunque, continuare ad attenderlo o sperare che qualcuno ce lo presenti, perché non abbiamo che da manifestarlo; tirarlo fuori da dentro di noi, dargli una bella ripulita e indossarlo per quello che è per davvero: il vestito della nostra dignità, con il quale ci presentiamo al mondo in cui, a fronte di un contributo, avremo diritto di ritagliarci uno spazio vitale.

 

Guardatevi attorno, provando ad analizzare la cose da una prospettiva diversa, ma sforzatevi di farlo per davvero, stavolta. Vi sembra che in giro manchi lavoro? La società urla la sua estrema necessità di lavoro, ovunque! Mancano lavoratori in qualsiasi settore, ce n'è un bisogno folle. Eppure, dalla parte opposta, esiste un' orda di lavoratori con le braccia conserte, in fatalistica attesa che qualcun altro spieghi loro per quale stramaledettissimo motivo sono venuti al mondo. 

Come lo definireste voi anche questo, se non un gigantesco e spaventoso paradosso?

Non c'è da attendere la Provvidenza, dunque, perché Essa si è già manifestata in noi quando ci ha dotati di capacità ed intelletto e ci ha resi liberi di scegliere quale contribuito fornire alla società. 

Ergo, è paradossale attendere che qualcuno possa elevarsi al di sopra della stessa Provvidenza e indicarci cosa andare a fare, siamo in grado d' intuirlo benissimo da soli.

Sarebbe dunque il caso di smetterla di starsene a braccia conserte e in dolce attesa, ma alzarsi ed andare a fare ciò per cui tutti gli esseri viventi sono stati generati: lavorare!

 

“Oibò! E cosa dovremmo fare? Irruzione nelle agenzie per il lavoro? Occupare i centri per l' impiego?”, motteggerete voi. Niente affatto. 

Io ripudio la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione per le controversie.

Ammettiamo, solo per ipotesi, che una bella mattina, un signore disoccupato, cittadino di un piccolo comune di provincia, magari con figli adolescenti da mantenere, si svegli presto, si prepari adeguatamente e vada, senza ricevere alcun invito ufficiale, a lavorare in una scuola per pulire da cima a fondo le aule, i bagni, i corridoi, gli uffici, la palestra, tutto. 

Magari, se ne sarà capace, farà anche qualche piccolo lavoretto di manutenzione in giro: riparerà qualche porta, renderà decorosa qualche parete, più sicura qualche scala ecc.

“Ma senza autorizzazione non lo farebbero neppure entrare in una scuola pubblica”, considererebbero i più ostinati, che ancora sognano e attendono. 

Hanno autorizzato l'ingresso in chiesa, durante i funerali, agli assassini di Falcone e Borsellino, ritenete che qualcuno negherebbe mai l' accesso a scuola ad un brav'uomo armato soltanto di buoni spirito e volontà?

 

Dunque ammettiamo che quest'uomo la compisse per davvero, questa singolare opera di bene, e che continuasse a farlo per un intero mese, contribuendo efficacemente a rendere quello specifico edificio scolastico, più confortevole e più sicuro per i figli di quella comunità. 

Come ritenete dovrebbe reagire la collettività di quel piccolo comune di fronte ad un gesto così nobile? 

Sono sicuro che qualsiasi comunità, da nord a sud (tranne in Sicilia, perché l'endemica mancanza di acqua renderebbe surreale anche lo stesso esempio), farebbe cerchio attorno a lui, ringraziandolo e lodandolo, nonché mettendo mano al portafoglio per ricompensarlo adeguatamente. 

Tutto apparentemente meraviglioso. Una bella pagina di solidarietà cittadina, piena di arcobaleni e dolci suoni. 

Se non fosse che non c'è nulla di nobile in tutto questo, anzi, è disumano e scandaloso. 

Purtroppo, però, ormai il paradosso ci proietta luce dove invece c'è solo buio, accecandoci così forte da non riuscire più a distinguere un orrore da un bel gesto.

 

Il contributo di un uomo non rappresenta mai alcuna cortesia, ma è un obbligo sacrosanto che ha sottoscritto alla nascita con la società. La collettività, da par suo, non deve in alcun modo essergliene riconoscente, anzi, deve pretendere non solo che s' impegni, ma che lo faccia nel miglior modo possibile.

L' equazione corretta non è: iniziativa, uguale elemosina; ma lavoro, uguale stipendio. Questo è dignità!

Perché quest' esercito di lavoratori continua a vagare trasecolato, quindi? Ormai si fa perfino fatica a distinguerli dai parassiti. Che vadano immediatamente a fornire un contributo, c'è bisogno di loro: la barca sta affondando!

“E chi glielo paga lo stipendio a questi?”, qualcuno ammetterà sconsolato, ma questo qualcuno deve essersi distratto oppure è eccessivamente ostinato. 

Ripetiamolo ancora: “I soldi non esistono! Sono solo un'unità di misura e servono per misurare il valore del lavoro! Non sono i soldi a creare il lavoro, ma il lavoro a creare i soldi!”

 

A questo punto dovrebbe ormai essere chiaro quale sia il punto focale dell' intera questione: il nostro sistema ha consacrato ed ufficializzato il paradosso e ci costringe ad accettarlo. 

Il punto è: cosa dovremmo fare? Dovremmo lottare e cambiarlo, questo sistema oppressivo e corrotto? 

Ci dichiariamo indipendenti? Coniamo una nuova moneta e paghiamo tutti gli stipendi? 

Sarebbe una possibilità, ma non ho mai avuto fiducia nel massimalismo. Credere di poter cambiare tutto e subito è sempre stato il vessillo dei giovani, degli schiavi e dei cadaveri. 

Sono piuttosto un manicheista e in questa eterna lotta tra il bene e il male, scelgo la pace, il compromesso; perché tutte le volte che il bene ha scelto di usare le armi del male, ha sempre perso miseramente la battaglia. 

Ciò che occorre fare è delinearne scrupolosamente i confini e mantenere l' equilibrio: Statera!

Se vogliamo davvero smettere di essere dannati sulla terra, non c'è bisogno di abbracciare le armi, non è questo quello che ci chiederebbe Frantz Fanon. Lui in fondo ha chiesto solo una cosa alle masse europee: di risvegliare le proprie coscienze per reintrodurre l' uomo nel mondo.

 

Come fare, però, a non dichiarare guerra a questo sistema? Come riuscire a convivere? 

Come sostenere una moneta che langue?

Questo è stato ad un certo punto il vero busillis  e non è stato affatto semplice trovare la risposta. Poi, finalmente, mi sono accorto di avercela avuta da sempre sotto il naso ed era di una semplicità, sinonimo di eccellenza, disarmante: bisogna sfruttare i buoni commerciali! Sembrerà assurdo, ma è lo strumento ideale col quale stringere un patto col diavolo. 

L'unico concreto strumento, per mezzo del quale dialogare col sistema che detestiamo tanto e riuscire a raggiungere un accordo.

L' idea mi è venuta in mente proprio mentre me ne stavo a giocherellare con un buono di venti euro di una libreria. 

Ad un certo punto ho cominciato ad osservarlo da una prospettiva differente e cioè non come un comune coupon commerciale, ma per il valore che avesse assunto tra il libraio e me. 

La sua promessa di lavoro era diventata moneta nell' esatto momento in cui gli ho dato credito e quel foglietto che avevo tra le mani si era magicamente trasformato in una banconota. 

 

Il buono commerciale, infatti, è l' unico strumento con valore legale che può permetterci di costituire moneta senza per forza doverne coniare una nuova. 

Il buono commerciale non è di certo un nuovo conio, infatti, né è slegato dal sistema monetario centrale, ma mentre quest'ultimo manifesta esclusivamente la sua componente a debito, lui ci offre l' opportunità di concretizzarne l' espressione a credito. 

Praticamente, se da una parte c'è l' euro, dall' altra parte ci può benissimo essere il buono commerciale a controbilanciarlo; perché il buono non è estraneo all' euro, ma semplicemente il suo rovescio. 

In parole povere: se da una parte concederemo all' euro di andare in giro a combinare sfaceli, lasciate che suo fratello passi a dare una ripulita.

L' unico ostacolo a quel punto è stato: come unire tanti buoni commerciali e creare un flusso coordinato, costante ed incessante di moneta parallela?  

 

Come creare un nuovo circuito economico che supporti nuova occupazione? 

Rispondendo a queste domande, ho sviluppato l'idea dell' Associazione Statera, un sistema parallelo che potrà benissimo articolarsi sull' intero territorio nazionale, ma sorretto da una logica espressamente territoriale, per la quale dovrà essere prevista la costituzione di numerosi enti suddivisi in circoscrizioni, con un numero di soci iscritti per ente, non superiore ai cinquemila.

Di seguito procederò col delinearne i tre punti principali di Statera:

 

  • Può divenire socio chiunque possegga una P. IVA regolarmente registrata ed in corso di validità. Al momento dell' iscrizione, il nuovo socio depositerà buoni commerciali per un importo facoltativo. Sarà il socio stesso a determinare insindacabilmente il valore del suo impegno all' interno di Statera e sarà sempre sua facoltà scegliere di mantenerlo costante o di modificarlo nel tempo.
  • I buoni depositati verranno convertiti in PAC (parallel currency), la moneta con la quale sarà possibile concludere qualsiasi operazione finanziaria in Statera. Ogni socio potrà spendere ed incassare pac, ma esclusivamente entro il limite del valore dei buoni depositati al momento della sottoscrizione. Come abbiamo visto, tale limite potrà essere variato.
  • Tutti coloro che non posseggono una P. IVA potranno iscriversi a Statera come associati. Tutti gli associati avranno il diritto di veicolare e spendere pac in Statera, ma non potranno chiaramente “coniarne” di nuovi, dal momento in cui non possono emettere buoni commerciali. Ciò non proibisce comunque loro di avanzare un regolare e preciso impegno lavorativo, che verrà discusso e valutato dai soci. Qualora i soci ritenessero credibile l' impegno dell' associato, potranno dunque convertirlo in pac sotto forma di prestito, che verrà rimborsato senza alcun ricalcolo gravato da interessi. La quota di pac ottenuta dall' associato, seguirà i medesimi criteri di quella dei soci.

 

Andiamo adesso a chiarire un po' meglio i vari punti, in modo da spiegare definitivamente il significato di Statera.

Il principio dovrebbe ormai essere piuttosto chiaro: un titolare di P. IVA versa un quantitativo facoltativo di euro sotto forma di buoni commerciali e riceve in cambio una quota dell' esatto corrispettivo, che per convenzione sarà espressa in pac. 

Torniamo dunque al nostro buon libraio, che avrà, ad esempio, versato una quota di mille euro in buoni commerciali ed ottenuto la relativa quota di mille pac. 

Questi mille pac potrà tranquillamente spenderli tra tutte le attività in Statera e già questo passaggio descrive chiaramente la funzione dei pac nei confronti dell' euro, ovvero sia la capacità che avrà il primo di sostenere il secondo. 

Tradotto: il libraio non avrà fatto altro che risparmiare mille euro per le sue spese periodiche. 

Venderà poi anche libri, ricostituendo il suo originale portafoglio di pac e tornerà ad effettuare spese. 

L' unica cosa che però dovrà tenere in mente, sarà quella di rispettare il limite di pac che si è imposto e nel suo caso significa che non potrà sforare la soglia di mille. 

 

Se il libraio decidesse di voler variare la quota di pac a sua disposizione, non dovrà far altro che variare la quota di buoni commerciali depositati. 

Se ad un certo punto avesse l' esigenza di acquistare un' automobile che costa ventimila euro, cioè ventimila pac, giusto per fare un esempio, dando per scontato che all' interno di Statera ci sia un socio rivenditore di automobili con una quota adeguata, il libraio non dovrà fare altro che versare altri diciannovemila euro in buoni commerciali. 

In parole povere, il suo potere d' acquisto viene immediatamente e matematicamente convertito nel suo impegno a lavorare meglio.

Adesso viene il bello (come se finora fosse poco), perché fondamentalmente strategica in Statera, risulterà la figura dell' associato.

Gli associati saranno i non possessori di P. IVA, ma che comunque potranno essere annoverati e finanche ottenere una personale quota di pac. 

Faccio una premessa: lo scambio di pac sarà gestito e supportato da una web-app, che fungerà anche da strumento di pagamento. Per usufruire della web-app, sarà necessario essere socio o associato. 

 

Ma perché ad un non possessore di P. IVA, che magari è un affermato impiegato statale, dovrebbe mai interessare di veicolare pac? 

Per molteplici ragioni. Una su tutte potrebbe essere quella della definizione di un debito pregresso; cosa non da poco. 

Se, tornando sempre al nostro amico libraio, questi avesse un debito con un carabiniere, ad esempio, potrebbe esortarlo a diventare associato, concedendogli l' occasione di onorare il suo debito in pac. 

Se il carabiniere accettasse, rientrerebbe in possesso di una somma che dava ormai per perduta e potrebbe serenamente sfruttarla tra le migliaia di attività di Statera. 

Analizziamo ora l' ultimo aspetto, il più importante di tutti: come può un associato ottenere una quota di pac? 

Evidentemente, un potenziale associato, all' interno della società civile sarà un impiegato pubblico o un disoccupato e per ricevere una quota di pac, come abbiamo stabilito fin dall' inizio, dovrà semplicemente avanzare una promessa d' impegno lavorativo, che verrà sottoposta al giudizio dei soci. 

Prendiamo in esame giusto un paio di possibili richieste. 

 

Nel primo caso potrebbe trattarsi magari dello stesso carabiniere di cui sopra, che affascinato dall' iniziativa e dal potenziale di Statera, decida di ottimizzare le finanze familiari avviando un' attività commerciale alla moglie. 

La sua ufficiale promessa d' impiego sarà dunque questa: avviare l' impresa della moglie, per la quale occorrono cinquantamila euro d' investimento. 

Una volta che i soci avranno deliberato a maggioranza che la proposta del carabiniere sia accoglibile, perché magari quella specifica attività non è presente in quel comune e perché l' affidabilità del carabiniere è inossidabile, gli verrà corrisposta la cifra di cinquantamila pac, con cui potrà definire i suoi progetti in completa tranquillità, per buona pace e crescita di tutti quanti. 

La cifra in questione, come premesso, verrà erogata sotto forma di prestito da parte dell' ente associativo che prende in carico la richiesta. 

Di conseguenza, saranno i cinquemila soci di quello specifico ente ad erogare il prestito, che in numeri si traduce: richiesta di cinquantamila pac, per cinquemila soci, cinquantamila fratto cinquemila, uguale dieci pac ciascuno. 

 

Ogni socio, praticamente, prestando appena dieci pac, avrà sostenuto un' iniziativa che arricchirà chiunque all' interno di quello specifico comune. 

Come specificato, le condizioni di restituzione del prestito saranno sempre equilibrate e mai oppressive.

Va da sé che i pac possano risultare utili al cento per cento per la realizzazione del progetto del carabiniere, ma si potrebbe anche configurare l' esigenza di dover esclusivamente pagare in euro, come ad esempio nel caso in cui si dovessero acquistare materiali o prodotti all' estero. 

Se ne deduce, che più sarà ramificata Statera sul territorio attraverso i suoi enti e più il pac sarà in grado di sostituirsi all' euro.

Passiamo ora al caso in cui sia un disoccupato a presentarsi davanti al giudizio dei soci di un ente e che non abbia alcuna intenzione di avviare un' attività. 

Egli spiegherà dunque esclusivamente quali siano le sue competenze, le sue attitudini e sulla scorta di quelle avanzerà la sua proposta d' impiego che, se accolta dalla maggioranza, darà il diritto all' accensione del prestito e alla consegna di una quota di pac al nuovo associato. 

 

Risulterà intuitivo che la concessione del prestito potrà avvenire esclusivamente di fronte alla concreta possibilità che il nuovo associato trovi effettivamente un impiego. Se questo non dovesse accadere, non solo l' associato non avrà più alcun diritto di chiedere nuove quote, ma rimarrà comunque debitore della quota originaria nei confronti dell' ente che gliel' ha concessa, che a sua volta, potrà rivolgersi alle sedi opportune per averne garantito il saldo.

Ad ogni modo, faccio davvero fatica a credere che in un sistema così ben architettato, possa continuare ad essere difficile trovare un impiego e sarei più propenso a pensare che se non avvenisse, sarebbe per mera negligenza del diretto interessato. 

Questi, al momento della sottoscrizione a Statera, avrà ufficialmente fornito la sua disponibilità al lavoro e sarà improbabile che non venga accolta favorevolmente presso una delle tante attività presenti, dato che sfrutterebbe l' eccezionale occasione di pagargli lo stipendio in pac.

Un' eventuale collaborazione lavorativa tra uno o più soci (datore di lavoro) e uno o più associati (dipendente), dovrà essere regolamentato redigendo un formale contratto di lavoro in ottemperanza delle leggi vigenti. 

 

Va da sé, un po' come nel caso degli acquisti all' estero, che in presenza di un regolare contratto di lavoro, soltanto lo stipendio potrà essere corrisposto in pac senza alcuna difficoltà, ma il versamento delle tasse, tanto da parte del datore di lavoro, quanto del dipendente, dovrà avvenire in euro. 

Lo Stato, infatti, pur conoscendo bene il dialetto dei pac, dialoga esclusivamente nella lingua dell' euro.

Il tentativo di dialogare efficacemente con lo Stato, pertanto, sarà una delle missioni principali di Statera, perché una buona collaborazione tra i due apparati non potrebbe che determinare benefici reciproci.

Un buon rapporto tra Stato e Statera, concederebbe l' opportunità d' inserire nuovi lavoratori nelle strutture pubbliche, nonché quella di generare nuovi servizi ed infrastrutture. 

Gli stipendi di tanti possibili lavoratori con le braccia conserte, l' enigma iniziale, potrebbero benissimo essere sostenuti da Statera, ma è logico che non solo lo Stato dovrebbe riconoscere le necessarie autorizzazioni, ma ci si aspetterebbe che si rendesse anche disponibile per una riconsiderazione dei termini dei vari contratti, che sono ormai obsoleti ed iniqui. 

Statera, come detto, potrebbe creare anche nuovi servizi ed infrastrutture, ma lo Stato a quel punto dovrebbe essere disposto a rinunciare a partnership internazionali.

 

In conclusione, non commettiamo l' errore di credere che Statera sia differente dallo Stato, così come il suo sistema a credito non è in antitesi col sistema a debito e così come il pac non è differente dall' euro. 

Statera è semplicemente l' espressione della dignità, nonché del senso di responsabilità, rispetto e collaborazione del popolo, dunque dello Stato stesso. 

Se è previsto che esista un deep state, perché non prevedere che possa esistere anche un evident state consapevole ed organizzato?

Ma c'è di più, tanto di più, perché con Statera sarà finalmente chiaro chi avrà veramente voglia di spendersi e chi no, chi starà da una parte e chi dall' altra, chi vuole fare davvero qualcosa di concreto e chi lamentarsi e basta, in questo impervio cammino di rinascita tanto auspicato ed agognato. 

L' impegno di ogni individuo, di ogni cittadino, con Statera è matematico che generi frutti, che potranno essere tanto più buoni, quanto maggiore sarà l' impegno applicato.

Statera è un esercito di bene, di fronte al quale il male può solo indietreggiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Possiamo anche essere disposti a lasciare che l' euro se ne vada in giro a combinare sfaceli, ma permettete che suo fratello passi a dare una ripulita?